SAPERE DI VINO

Vitis Vinifera e Vitis Sylvestris

La vite, vitis vinifera e vitis sylvestris: la vitis vinifera è una pianta rampicante diffusa in tutto l’emisfero boreale, ed esportata dall’uomo anche in quello australe. Nel primo però può svilupparsi fra il 40° ed il 50° parallelo, mentre nel secondo l’area di crescita è fra il 30° ed il 40° parallelo. Non tutti sanno quindi che i vigneti dello Champagne sono i più settentrionali d’Europa, tanto da costringere i viticultori a proteggere i filari dal freddo con un sistema di stufe, accese nelle ore più fredde notturne. Ancestrale cugina della vitis vinifera è la vitis sylvestris, dalla quale però non si è in grado di produrre vino. La vitis vinifera (“portatrice di vino”), che i botanici definiscono sativa, per differenziarla dalla sylvestris, è in assoluto la pianta che concentra il maggior quantitativo di zucchero nei suoi frutti, fino ad 1/3 dell’acino, ed è solo in virtù di questa alta concentrazione di fruttosio che è possibile l’innesco della fermentazione e la successiva trasformazione del mosto in vino.

Filossera – Il parassita devastante

Fillossera: la presenza devastante di questo acare fu notata per la prima volta ad Arles, in Francia, nel 1863. Le foglie della vite si avvizzivano e cadevano, mentre le radici prendevano a marcire. Dal primo segnale di malattia la pianta moriva in due o tre anni. Da quella data, in poco più di trent’anni, i 4/5 dei vigneti francesi ed europei vennero distrutti dal diffondersi della malattia degenerativa. La tragedia, perché di questo si trattava per tutti i produttori europei e francesi in particolare, era frutto di un paradosso. Con l’introduzione dei motori a vapore, i battelli oceanici provenienti dalle Americhe riuscivano a portare in Europa i micidiali microrganismi ancora in vita, a tal punto da consentirne una diffusione capillare nei “nuovi territori”. L’epidemia quindi era dovuta al progresso tecnologico, un fenomeno simile alla recente diffusione delle zanzare tigre in Europa, ospitate nella convessità umida dei pneumatici imbarcati dalle navi cargo provenienti dai paesi tropicali. Non era facile trovare il rimedio ad una tale calamità. Prima era necessario individuare la causa dell’epidemia, poi eventualmente trovare il rimedio. Fu l’entomologo Jules-Emile Planchan, fra il 1869 ed il 1873, ad individuare nella Phillosera Vastatrix, cugina della Phillossera Querces, la responsabilità della devastazione del vigneto europeo. Furono allora offerti generosi premi a chi avesse trovato un rimedio efficace contro questo parassita, soprattutto in Francia, paese particolarmente colpito dal danno economico causato dalla diffusione del microrganismo. Un primo risultato fu ottenuto con il processo di fumigazione delle viti, procedimento messo a punto da Paul Thénard, che scoprì l’efficacia del bisolfuro di carbonio, sostanza ottenuta con la vaporizzazione dello zolfo tramite la combustione di carbone. Ma fu uno biologo, sostenitore della causa darwinista, Gaston Fovet, che per primo intuì la possibilità di risolvere il problema adottando l’innesto con piante americane, adattate da millenni alla convivenza con quegli afidi. Fu quindi Gaston Bazille, in un congresso a Baune, a Bordeaux, a proporre l’innesto come unica soluzione.

L’Innesto

Questo espediente fu poi adottato da tutti i viticoltori francesi, e poi europei, sebbene furono necessari molti anni prima che la vitis americana si adattasse ai “nuovi” territori europei. L’ultima grande regione viticola europea ad essere colpita dalla fillossera fu quella della Champagne, agli inizi del novecento, ma per quell’epoca i produttori erano già pronti a rispondere con l’innesto estensivo, che infatti adottarono tutte le grandi maisons dello Champagne. Da allora, la quasi totalità del vigneto europeo è composto da viti innestate su viti americane.

Tra i vari tipi di innesto esistenti il più comune è quello detto a doppio spacco inglese (invernale), ma è diffuso anche quello detto alla maiorchina (soprattutto in Italia meridionale e definito anche autunnale), quello a zufolo (estivo) ed infine quello erbaceo (primaverile).